Questa riflessione proviene dai trascorsi di questi 2 anni e dall'immaginario italiano (oltre che dall'esperienza di spettatore-cittadino) degli ultimi 5-6 anni. Intendiamo innanzitutto come "regime" un generico termine riferito ad uno status etico di una nazione, che sia democratica o autoritaria (così regime può essere una democrazia parlamentare, una dittatura popolare, una monarchia, ecc). Mi sono interrogato a lungo su quali siano i "termini in gioco" per la vita, la durata e la salute di un regime. Ho concluso (senza alcuno studio di scienze politiche) la riflessione con delle valutazioni simili ad alcune teorie economiche basilari applicate all'etica.
Ci sono quindi a mio parere molti elementi in gioco in uno Stato che fanno la differenza. Ma identificando la vita di un regime come un "ciclo di vita", potremmo disegnarlo un pò come una parabola. Essendo su un foglio, solo ed esclusivamente in due dimensioni, dobbiamo quindi astrarre da questi elementi solo gli essenziali.
Ne ho individuati 3, che sono i fondamentali elementi in gioco in qualsiasi regime: Il comando, il ricevente e il messaggio. Semplificando queste nozioni molto generali li potremmo chiamare Il capo-maggioranza, il cittadino-suddito e la comunicazione-propaganda.
Il "Capo" può essere un dittatore in una dittatura, un re in una monarchia, un governo in una democrazia, che sia parlamentare o autoritaria. L'equilibrio (che rappresenta il grado di inclinazione della nostra parabola) lo si trova nella coerenza tra la politica del capo (e la sua vera identità), la comunicazione di tale politica e il gradimento del popolo. Se questo equilibrio rimane nel tempo, una parabola molto piatta assicurerà uno status quò condiviso per molto tempo. Ma è pur sempre una parabola, e la fase discendente è inevitabile. La politica è fatta di compromessi e di
propaganda (identificando nel nostro sistema propaganda come il gap comunicativo tra identità della politica e messaggio perpetrato ai cittadini, quindi incoerente con l'identità tenuta nascosta dal soggetto capo). Nel tempo è inevitabile come la propaganda sia inizialmente utilizzata come collante laddove la politica non funziona, fino a raggiungere il punto critico di stallo, nel momento che i cittadini riconoscono la falsità e faziosità dell'informazione (e quindi l'incoerenza del terzo fattore sopra citato). Così il popolo comincia a lamentarsi, a sgombrare la mente da pregiudizi politici di sorta e a volere più trasparenza e uguaglianza. Qui stà la scelta ultima del "regime":
i tre fattori non vanno più d'accordo. O cambia il capo, o cambia il messaggio, o cambia il popolo. Il popolo non può cambiare se non nel lungo periodo (e a questo può pensare e ha pensato la televisione in questi 15 anni, ad esempio) ma solo fino ad un certo limite. Gli altri due fattori, una volta capita l'incoerenza di fondo del sistema, devono cambiare assieme.
Ora, l'occidente è diventato democratico perchè ha riconosciuto la capacità di fondo delle democrazie di cambiare i fattori "capo e messaggio" quando lo si ritiene necessario per assicurare una parabola più lunga possibile del proprio regime. In alcuni stati (pensiamo alla storia novecentesca) invece si è forzata la mano per cambiare nel tempo il fattore popolo tramite (principalmente ma non solo)
il controllo di mezzi d'informazione (ricordate la radio di regime mussoliniana). Chi ha scelto la prima via ha allungato il ciclo di vita dello status quò, chi ha scelto la seconda lo ha irrimediabilmente accorciato. In alcuni casi è riuscito a renderlo non troppo corto con un abile gioco di trasformismo e ricatto, ma la strada è comunque segnata.
La parabola dunque si innalza e arriva il punto di stallo. I cittadini protestano e il potere, comunque costituito (dittatura, democrazia, monarchia, ecc) deve trovare
una soluzione NON censoria, ma dedita all'ascolto e al compromesso (attenzione: compromesso vero, non di facciata tramite la stessa comunicazione che il popolo ha già identificato come non credibile). Se ciò non succede, è la discesa. Se le piazze democratiche (numerose, indifferentemente dalla maggioranza o minoranza politica costituita) vengono lasciate "sole" la caduta comincia, ed è tanto più repentina quanto più grave è il disagio. Da questo momento,
sparare urbi et orbi propaganda è un rimedio parziale e sconsiderato, poichè più violenta e irrimediabile sarà la caduta. Se i cittadini vengono lasciati soli nei loro problemi, complice "magari" una congiuntura economica sfavorevole, o un conflitto vicino, non importa che l'elemento "messaggio" sia rassicurante o venga propinato come vero l'incredibile consenso al re/capo/governo; bisogna capire prima che se la discesa è iniziata, diventa tutto transitorio. Non mettere una pezza, non cambiare orizzonti significa attirare sfogo NON democratico (nelle democrazie) e direttamente violento laddove di regime autoritario tratta. Tanto lunghi gli anni di Mussolini come tanto veloci gli attimi dei trambusti e delle violenze che portarono alla sua scomparsa. Se davvero il sistema di uno Stato ripudia guerra e violenza, non il popolo bensì le istituzioni stesse e in particolare l'elemento "capo" sono responsabili dell'ordine e del dialogo.
Il disagio non è mai figlio di un capriccio. I giusti messaggi istituzionali, quelli veri, quelli sani, possono portare ad una distenzione. La propaganda acuirà solo la curva della parabola.
Ora, è compito del lettore adeguare questo modello alla situazione di qualsiasi governo/stato e naturalmente anche all'Italia del 2009, in un momento che francamente al di là delle opinioni intimorisce tutte le persone democratiche e intelligenti. Se posso dirla tutta, in un momento di tensione si stà pensando a censurare internet e a indicare il nemico come responsabile della violenza. Fermare la spirale, e che chi di dovere pensi ad appiattire la parabola, accettando una volta per tutte di trovarsi ormai in fase discendente, in aumento di velocità. Il consenso popolare e la stabilità di un Paese non sono poi così rigidamente associati, soprattutto quando la propaganda, come già detto, non è per definizione coerente con l'identità del capo. Mussolini Deve insegnarci qualcosa, fatto salvo che è salito democraticamente, e quasi fino all'ultimo democraticamente amministrato con il consenso (o il silenzio-assenzo) del popolo. E forse in lui c'era più coerenza tra messaggi e azioni. Ma le conseguenze le sappiamo. Senza fare ulteriori paragoni che certo non si possono fare nel 2009, il sistema sopra esaminato,
seppur pienamente opinabile, per chi lo condivide rimane lo stesso. Si parla di fermare la spirale. Bene, ma dopo rinnoviamo democraticamente e civilmente la parabola, restituendo coerenza al sistema capo-cittadino-messaggio.
Se (ad esempio, e premesso che il sottoscritto non odia nessuno) una parte accetta di dialogare e il capo continua senza compromessi a fare ciò che ha creato il disagio (ricorderete l'inizio dell'ultima legislatura),
non è nei "nemici" che troverà la risposta alla domanda "ma perchè c'è gente che mi odia".
Andrea Tuscano